Le parole di Moro e quelle delle BR


Raccontare in relativamente poche pagine (159 esattamente) le vicende relative al sequestro di
Aldo Moro non è un’impresa facile.

C’è riuscito assai bene Davide Serafino che in Il sequestro Moro edito da La Gazzetta dello Sport non si è “limitato” a ricostruire gli eventi più strettamente legati ai 55 giorni del sequestro, ma ha anche fatto sia una disamina delle teorie cospirazioniste nate negli anni successivi, e sia una “presentazione” dei maggiori contributi storiografici sull’intera vicenda.


Nel suo saggio Serafino ha dato ampio spazio alle parole: sia quelle scritte da Aldo Moro durante la sua prigionia; sia quelle diffuse dalle Brigate Rosse tramite i loro comunicati.

Ha posto l’accento - come già aveva fatto Leonardo Sciascia - sul fatto che dalle parole di Moro non si evince affatto che egli fosse menomato nella sua capacità di razionalizzare gli eventi.

Anzi, Moro - assai lucidamente - ha percorso ogni strada che gli si apriva e prospettava al fine di poter sopravvivere al sequestro.

Oltre all’ipotesi dello scambio di prigionieri, l’onorevole ventilò anche la possibilità di passare il resto dei suoi giorni recluso in una delle carceri in cui già erano detenuti alcuni di capi delle BR, in modo da dare un riconoscimento “politico” proprio a tali detenuti che da carcerati “comuni” sarebbero, di fatto, diventati “prigionieri politici”, come essi stessi si definivano e ambivano a essere riconosciuti dalla Stato.

Ma gli eventi -  come noto - andarono diversamente e Moro fu assassinato dai suoi carcerieri.


Non è detto, però, che l’epilogo fosse scritto fin dal principio.

Nonostante Serafino abbia messo in luce le criticità delle varie teorie cospirazioniste, permangono nella vicenda alcuni “snodi” che lasciano ancora oggi perplessi.

Primo tra tutti quello legato al covo di via Gradoli.

Come è noto, un gruppo di accademici (tra i quali c’era Romano Prodi) dichiarò - durante i giorni del sequestro - di aver partecipato a una seduta spiritica, durante la quale era emerso in Gradoli il luogo nel quale Moro era detenuto.

Le forze dell’ordine non cercarono, però, in via Gradoli a Roma, ma il 6 aprile fecero un blitz nel comune di Gradoli, in provincia di Viterbo.

Solo il 18 aprile fu scoperto, in modo forse non del tutto fortuito, il covo di via Gradoli, nel quale, nei giorni precedenti, si era nascosto Mario Moretti, all’epoca al vertice delle BR e del commando che aveva sequestrato Moro.

Una vicenda - quella delle due Gradoli - che andrebbe indagata in modo più approfondito e sulla quale Serafino stesso è più volte tornato nel corso della sua trattazione.


Un libro di cui si consiglia la lettura e che si legge assai agevolmente, anche grazie alle capacità narrative del saggista.


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