La voce di Patrick Zaki


La voce di Patrick Zaki non è stata zittita dal regime egiziano; anzi, ora risuona più forte.

Ne è consapevole lo stesso Zaki che lo dichiara apertamente nel libro che, assieme ad Anna Maria Lorusso, ha scritto per ricostruire la sua vicenda. Una voce, la sua, che intende continuare a mettere a servizio della lotta per i riconoscimenti dei diritti e per la tutela degli stessi.


Sogni e illusioni di libertà. La mia storia, edito da La nave di Teseo, è un libro da leggere non solo per sentire dalla viva voce di Zaki come ha vissuto i quasi due anni di detenzione nelle carceri egiziane, ma anche per farsi un’idea più precisa di cosa voglia dire essere un attivista per i diritti umani in un regime come quello egiziano.


L’attività politica di Patrick Zaki è iniziata assai presto: dai primi anni di Università e, poi, con la Rivoluzione del 2011, quando Patrick, che è nato nel 1991, aveva solo 20 anni.

All’inizio era mosso dal desiderio di poter migliorare le condizioni di vita dei cristiani copti (minoranza a cui lui stesso appartiene); ma ben presto si è reso conto che agire in favore di una sola minoranza ha ben poco senso quando si vive in un regime: bisogna lottare affinché migliorino le condizioni di vita di tutti i cittadini e i diritti umani vengano riconosciuti a chiunque.

La sua attività politica prosegue anche dopo la laurea (Zaki è laureato in Farmacia): lascia, infatti, il suo lavoro di farmacista e viene assunto dall’EIPR (Egyptian Initiative for Personal Rights), diventando un nome e un volto conosciuto tra quanti, al Cairo, si occupano di diritti umani.

Quando, però, il clima in Egitto per lui diventa rovente (tanto da ricevere delle vere e proprie minacce), decide di continuare i suoi studi e si iscrive a un master sui diritti umani presso l’Università di Bologna.

Il resto è noto…


Noto perché in Italia si è subito creato un movimento di opinione che ha preso a cuore la vicenda di Patrick, non solo perché era uno studente in una delle Università più prestigiose del nostro Paese, ma anche perché la sua storia ricordava assai da vicino quella di Giulio Regeni, il ricercatore italiano barbaramente ucciso in Egitto.

Un richiamo, quello con la vicenda di Regeni, che non è stato fatto solo in Italia: Zaki ricorda sia come durante i primi interrogatori cui è stato sottoposto il caso Regeni è stato ossessivamente richiamato da chi lo interrogava; sia il fatto che in carcere era indicato con l’appellativo di “ragazzo italiano”, quando non, addirittura, chiamato Giulio.

Fortunatamente, però, Zaki non è stato zittito come Regeni e la sua voce può ancora levarsi alta.


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