La scomparsa di Majorana



La scomparsa di Majorana di Leonardo Sciascia è un piccolo gioiello di indagine psicologica, ancor prima che storica.

Nel saggio, infatti, Sciascia non solo ricostruisce i fatti che portarono agli eventi del marzo 1938 in cui di Ettore Majorana si persero le tracce, ma analizza la psicologia del genio della Fisica teorica, per tentare di dare una spiegazione razionale proprio alla misteriosa scomparsa.


Come è noto - o come dovrebbe esserlo - Sciascia era convinto che Majorana non si suicidò, ma decise di scomparire.

A tal proposito, lo scrittore sottolinea come l’uso della parola «scomparire» fatto da Majorana stesso in una delle lettere che ne preannunciavano il suicidio, era ambiguo: il Fisico voleva che si pensasse a un sinonimo di scomparire (ossia, darsi la morte), ma, in realtà, la sua intenzione era proprio quella di sparire nel nulla e di non farsi cercare, proprio perché aveva dato a intendere un suicidio.


E, in effetti, la polizia fascista non indagò con meticolosità, sicura com’era che l’unica cosa che potesse trovare fosse un corpo inanime.

Non si diede credito neppure alla testimonianza di un’infermiera vicina a Majorana che disse di aver visto vivo il giovane professore dopo quel 27 marzo a far data dal quale di Majorana nulla più si sa con certezza. 


La tesi di Sciascia è che il giovane genio della Fisica avesse previsto la bomba atomica e, non volendo essere tra coloro che, negli anni seguenti, effettivamente la realizzarono, decise di sottrarsi agli eventi, scomparendo nel nulla.

Forse - data la sua religiosità - Majorana si rinchiuse in un convento di frati.


Resta il fatto che - già da qualche anno prima di quel 1938 - Majorana vivesse in una sorta di stato di agitazione, come di persona profondamente spaventata.

Sciascia ricorda come gli amici e i colleghi lo avessero sempre considerato “strano” ed eccessivamente timido e chiuso in sé, ma sottolinea che negli anni che vanno dal 1933 al 1937 Majorana fece vita ritirata (nel senso che usciva assai di rado da casa).

E si fece crescere i capelli a dismisura, cosa assolutamente inadatta in tempo di regime fascista. 

Scriveva moltissimo, però.

A cosa stava lavorando?

Non è dato saperlo, perché quegli appunti non furono mai ritrovati.


Majorana li distrusse o li portò con sé?


Un saggio, quello di Sciascia, che non ha perso un briciolo di interesse con il passare degli anni e che vale la pena leggere.


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